Con questo editoriale vorrei scostarmi un po’ dalla linea generale del blog che, fino ad adesso ed in seguito, è stata e sarà il più oggettiva possibile.
Ma anche chi gestisce questo blog ha una storia da raccontare riguardo al Wushu. Narrarla dal principio sarebbe lungo, noioso ed inadatto quindi mi limiterò a trarne alcune considerazioni (per chi, invece, volesse leggerla tutta può farlo al seguente link - basta che abbia la pazienza di spulciare nei post più vecchi, sono 6 parti in tutto - www.shen.splinder.com).
Nei miei 5 anni di pratica ho abbracciato uno stile particolare del Wushu che è il Tai Chi Chuan. Questo stile, a mio avviso, non conosce vie di mezzo: o lo si ama o lo si odia. Io l’ho amato. L’amo ancora, a dire il vero, benché sia stata costretta ad abbandonare la sua Pratica. Sembra strano parlare di amore riferito ad un’Arte, ma chi Pratica sa bene che non mi sbaglio nell’usare questo termine. Nel tentativo di mantenere una certa oggettività nei post ho solo sfiorato questo lato dell’Arte.
In un precedente editoriale citai le parole di Alfredo Tucci “Se le Arti Marziali hanno qualcosa di diverso è proprio il cuore; se sono qualcosa, sono un cammino con il cuore; se valgono a qualcosa, è perché si praticano con il cuore.”
Il cuore è il motore di tutto insieme alla mente.
Qua in occidente la Pratica non è accompagnata dallo studio della filosofia o dell’Arte della Calligrafia, ma, quantomeno la prima, si apprende con il tempo e senza bisogno di testi. Non stiamo parlando di uno sport, ma di un’Arte e questo comporta anche delle modifiche nello stile di vita. Si modificano il pensiero, l’atteggiamento, gli stati mentali in determinate situazioni, aumenta la conoscenza delle proprie emozioni. Cambia la visione della vita in generale.
Nel raccontare la mia storia scrivevo “Il Tai Chi è un’Arte che ti entra nelle vene, inizi e lo senti scorrere nel sangue come una linfa vitale. Una nuova vita che rinforza le membra. Una nuova visione del mondo. È assecondare le brezze quando pratichi, imitare le foglie, catturare la flessibilità del salice, ma allo stesso tempo essere potenti, sinuosi, letali, come l’acqua. È insegnare alla mente ad essere disciplinata e metodica. È insegnare al corpo a seguire la mente. È praticare fino a portare il corpo, ma non la mente, al limite, allo sfinimento, ma poi trovare la forza di avanzare perché la mente capisce che i limiti sono solo quelli che noi ci imponiamo.” Cuore e mente come connubio vitale nella Pratica. Ed è proprio così, l’Arte entra prepotentemente nelle azioni di tutti i giorni e a distanza di tempo ti accorgi di come tutte le cose vengano mediate da essa e, per una volta, possiamo parlare di mediazione positiva. Inoltre sei disposto a dedicarci del tempo senza alcuna remora e qui mi appello al sostegno di ogni buon Praticante che, più di una volta nella sua vita Marziale (e più di una volta alla settimana), si è ritrovato a rifiutare un invito dicendo “Non posso…ho allenamento”. L’Arte diventa il tuo tutto e in qualità di tutto assume una posizione privilegiata. Un po’ una sorta di Guru a cui chiedere consiglio. Ed ecco il problema: dover abbandonare questo tutto, questo amore incondizionato e puro. Il risvolto della medaglia che si presenta anche in questo frangente. È un problema che, per quanto mi riguarda, non conosce soluzione se non il tempo perché arrivi a lenire la perdita. Ed è anche un problema parlarne; questo blog è nato per lo svolgimento di un esame universitario, ma piano piano si è trasformato in un piccolo angolo da accudire con cura, quasi fosse una sorta di terapia.
Ed ora la domanda è rivolta a voi Lettori, Praticanti e non, a chiunque segua questo blog: quali sono le vostre emozioni nei confronti dell’Arte?
Con questo editoriale voglio augurare a tutti i lettori di Primavere e Autunni buone feste con un grazie sentito per aver sostenuto il progetto leggendo e commentando.
Jaiyou.